Internet ci spia, ma non è l’unico

Regolamentare il web o prestare attenzione a quello che facciamo potrebbe non essere sufficienti: è necessario farci subito gli anticorpi per evitare violazioni della privacy. Questo, e anche un serio dibattito a livello istituzionale.
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Se quando navighi su Internet hai la sensazione di essere spiato sappi che non hai tutti i torti! Ma prima di addentrarci nel pezzo voglio dirti che questo non è necessariamente un male e che spesso è dovuto a una nostra cessione più o meno consapevole della privacy. Dico più o meno consapevole – e senza voler minimizzare o incolpare noi utenti – per tre ragioni.

La prima è che, come spesso accade anche fuori da Internet, ci capita di essere così presi dal voler partecipare a un gioco o dall’usare un determinato servizio che non leggiamo tutti i termini e le condizioni; la seconda è che in linea generale siamo ancora molto indietro nella comprensione di come funzionano internet e i social; la terza è che non teniamo in considerazione il perché le aziende abbiano visto nei social grandi opportunità.

La questione della privacy e dei dati diffusi su Internet, peraltro, abbiamo cominciato a porcela quando i siti web sono stati obbligati a mettere l’informativa sui cookies, è poi finita sotto gli occhi di tutti con il caso Cambridge Analytica e ora sfiora le teorie del complotto parlando dell’App immuni dedicata al Covid-19, che poco o nulla ha a che vedere con quello che dirò qui.

Ecco perché ho deciso, anche se in maniera superficiale, di trattare questo argomento: al di là delle questioni tecniche, infatti, quello che vorrei fare qui (ci riuscirò?) è parlare del perché il tracciamento non è sempre un male e, soprattutto, vedere possiamo fare per garantirci un futuro più tranquillo.

Spiare non è la parola giusta

Negli ultimi giorni, parlando dell’App Immuni, è stata fatta molta ironia sul fatto che regaliamo dati per le cose più futili mentre ci preoccupiamo per questioni come questa, che potrebbe permetterci di uscire (prima?). Chiunque abbia navigato su sui social, infatti, avrà letto almeno un post di questo genere:

compilano form lunghissimi per giocare a “quale ortaggio sei” e poi si preoccupano della privacy

Mettiamola così: se anche fosse vero, questa potrebbe essere l’occasione giusta per affrontare in modo compiuto il tema, visto che si tratta di una questione decisamente complessa che riguarda le nostre vite, sempre più alle prese con la tecnologia. Non tutto, ovviamente, è da buttare: come vedremo più avanti, il tracciamento può portare un sacco di benefici, ma è necessario che le persone ne siano informate.

Prima di tutto, entriamo nell’ottica che siamo proprio noi a fornire i nostri dati a Facebook, Google e tante altre App che abbiamo sul telefono. E lo facciamo per tutta una serie di ragioni: dal volerci iscrivere a un nuovo social all’utilizzare dispositivi come Google Home o Alexa; dal voler condividere i nostri progressi sportivi tramite una comoda App al voler giocare al giochino del momento.

Nessuno ci regala niente e, anzi, come recita un vecchio adagio:

Se è gratis, allora il prodotto sei tu!

L’assistente virtuale è comodo ed è anche simpatico, ma per funzionare bene deve accedere ai nostri dispositivi e “imparare” dalle nostre preferenze; i social sono gratis e offrono un sacco di risposte alle nostre necessità (principalmente la riprova sociale e la possibilità di farci gli affari degli altri), ma in cambio tengono traccia di tutti i nostri comportamenti; quel giochino meraviglioso mi permette di condividere i risultati con gli altri, ma mi chiede di accedere al mio account Facebook, alla fotocamera e al microfono.

Se ci pensiamo, cedere dati di qualche genere è un’operazione che facciamo ogni giorno, compiendo almeno una di queste azioni:

  • usare una carta fedeltà
  • lasciare l’indirizzo email per avere uno sconto
  • partecipare a un gioco a premi/quiz su internet o in tv
  • accedere a Facebook o navigare su Internet
  • Parlare con gli assistenti virtualli
  • Usare App che tracciano i percorsi
  • Giocare ai giochini sul cellulare

E se il contact tracing è tutta un’altra roba, penso comunque che sia giunto il momento di fare i conti con il fatto che non siamo minimamente preparati a gestire la nostra presenza online, così come non comprendiamo ancora bene i meccanismi che muovo questo mondo.

[Focus] Quanto ci conosce Facebook?

Sappiamo che i dati vengono raccolti e sappiamo che vengono usati per mandarci pubblicità o per rendere più confortevole il nostro feed sui social, ma per capire quanto sia profonda l’analisi che viene fatta delle nostre preferenze è necessario prendere in prestito le parole di Michal Kosinski, l’iniziale sviluppatore dell’algoritmo di Cambridge Analytica:

bastano 70 like per conoscere una persona meglio di quanto la conoscano i suoi amici e 300 per saperne più di quanto non sappia il partner. Con qualche like in più si conosce una persona meglio di quanto lei non conosca sé stessa.

Michal Kosinski

Spaventoso e preoccupante, se utilizzato nel modo sbagliato; affascinante e utile se gestito bene.

Perché l’uso dei nostri dati può esserci utile

La grande innovazione portata dai social è stata proprio quella di consentire alle aziende di offrire una pubblicità mirata, basata sulle preferenze degli utenti. E quello che ci piace, che ci interessa, ci serve o ci incuriosisce viene dedotto proprio dai comportamenti che teniamo online: tutto quello che facciamo su Facebook (ma anche dal nostro account di Google) lascia delle tracce che poi verranno utilizzate per definire i nostri interessi. In questo modo, ad esempio, se cerchiamo a più riprese alberghi e destinazioni per le vacanze estive al mare è molto più probabile che vedremo comparire pubblicità legate agli stabilimenti balneari, ai voli aerei e magari anche ai costumi da bagno piuttosto che suggerimenti su dove trovare i rifugi alpini più affascinanti.

E se ci pensiamo, questo può essere un bell’aiuto: rispetto alla tv, dovremmo vedere solo le pubblicità che ci interessano.

Ed è proprio questo finissimo sistema di targetizzazione a rendere i social così utili alle aziende e così interessanti per noi: cosa succederebbe se vedessimo solo cose che non hanno alcuna rilevanza per noi?

In questo senso, però, bisogna ancora specificare due cose:

  • a Google, Facebook e compagnia non interessano le persone ma i numeri. Questo significa, per intenderci, che i nostri comportamenti non finiranno in un faldone in stile servizi segreti, ma ci connoteranno come numero, facendoci rientrare in determinate categorie. Così saremo tra quelli che amano la montagna, o il mare, o entrambi. E quindi potenzialmente interessati a tutta una serie di cose…
  • il fornirci solo contenuti ritenuti per noi potenzialmente interessanti, però, rischia anche di avere un risvolto negativo. Più guardiamo un certo argomento e più vedremo quell’argomento, mentre il resto tenderà un po’ a scomparire (succede anche con quello che pubblicano i nostri amici sui social, ma no, non parliamo della storia dei 25 amici facendoci finire in una sorta di bolla dalla quale sarà difficile uscire. Per questo motivo, quando leggiamo le notizie sui social dobbiamo sempre tenere a mente che non stiamo vedendo la realtà, ma solo una parte di essa.

Usare i nostri dati per venirci incontro è quello che ha fatto per anni il nostro panettiere di fiducia che, al nostro ingresso, ci chiedeva se volessimo “il solito”.

Quando l’uso dei dati viene fatto a sproposito

Il più grande problema legato a quella che viene già chiamata APP Immuni non è tanto il tracciamento di tutto quello che facciamo o l’uso dichiarato di quei dati o, ancora, la lecita preoccupazione che una violazione del database potrebbe svelare ai malintenzionati un numero enorme di dettagli. No, i problemi maggiori sono che:

  1. Siamo lontani anni luce anche solo da una minima comprensione di cosa significhi vivere online, non abbiamo anticorpi e spesso riponiamo la nostra fiducia nei posti sbagliati;
  2. Il dibattito e le riflessioni sul tema sono pari a zero: nella fretta di volersi attrezzare per ripartire, la questione non sembra essere stata approfondita, almeno da un punto di vista di dibattito pubblico. La percezione, infatti, è che ci siano voluti mesi per progettare le decisioni legate al nostro paese e 2 minuti per decidere di catapultarci nel futuro.

Ed è proprio del futuro che bisogna parlare adesso. Le aziende (ma non solo) cercheranno di ottenere sempre più dati, magari ricorrendo anche a pratiche al limite dell’illecito, come abbiamo giù visto parlando di Cambridge Analytica e a come l’uso dei dati possa aver condizionato la politica e le nostre scelte.

Scenari al limite del complotto

In questo mare di possibilità, applicazioni, siti, dati che non conosciamo e applicazioni che richiedono l’accesso a qualunque cosa non potevano mancare i complotti.

Sarà certamente capitato anche a voi di parlare di un argomento e poi di trovare la pubblicità sui social. Ecco in questo caso bisogna dire che, ad esempio, Facebook ha negato di utilizzare le informazioni provenienti dal microfono (di ascoltarci, per intenderci), mentre per Google non è così. Basta cercare un po’ su Internet per vedere che quando forniamo l’accesso a Big G lui può anche “ascoltare”.

TIP: Prova a fare un giro alla voce impostazioni.

Conclusione: dati, privacy e futuro

La raccolta dei dati e il loro uso da parte delle aziende non è così sconvolgente e, come detto sopra, può fornirci dei vantaggi. Tutto ciò a patto che siamo ben consapevoli del fatto che il prodotto siamo proprio noi e non l’applicazione che abbiamo scaricato gratis e, soprattutto, che cominciamo a leggere i termini, le condizioni e soprattutto le richieste di accesso che le applicazioni fanno per essere installate.

Perché un giochino mi chiede l’accesso alle foto e al microfono?

Lasciamo in giro dati da sempre, sia su internet che offline e un po’ mi meraviglia tutta questa sorpresa nello scoprirlo. Detto questo, l’economia e la politica si basano e si baseranno sempre più sui dati: è bene tenerlo a mente ma è anche bene cominciare a fare un discorso serio sulla loro tutela, perché dagli hackeraggi alla piattaforma Rousseau a Cambridge Analytica, passando per i dati rilasciati accidentalmente, per il phishing e quant’altro, “conoscere” a fondo le persone e i loro comportamenti fa gola a tutti quanti.

Regole e adempimenti formali non credo che saranno sufficienti, ma servono una seria riflessione globale e dei corsi di utilizzo delle piattaforme.

Certo, leggere il testo prima di accettare o di scaricare un’App potrebbe aiutare, ma è molto probabile che continueremo a non farlo, quindi dobbiamo attrezzarci in un altro modo.

Erick Bazzani
Social Media Manager, copywriter e formatore freelance. Le mie giornate si dividono tra l'aula e l'ufficio, quindi se vuoi contattarmi ti chiedo di farlo con una mail. Leggi la bio completa: è bellissima! ;)